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Eugenio Montale

 

 

fuoco d'artifizio del maltempo 
sarà murmure d'arnie a tarda sera. 
La stanza ha travature 
tarlate ed un sentore di meloni 
penetra dall'assito. Le fumate 
morbide che risalgono la valle 
d'elfi e di funghi fino al cono diafano 
della cima m'intorbidano i vetri, 
e ti scrivo da qui, da questo tavolo 
remoto, dalla cellula di miele 
di una sfera lanciata nello spazio 
e le gabbie coperte, il focolare 
dove i marroni esplodono, le vene 
di salnitro e di muffa sono il quadro 
dove tra poco romperai. La vita 
che t'affabula è ancora troppo breve 
se ti contiene! Schiude la tua icona 
il fondo luminoso. Fuori piove. 
E tu seguissi le fragili architetture 
annerite dal tempo e dal carbone, 
i cortili quadrati che hanno nel mezzo 
il pozzo profondissimo; tu seguissi 
il volo infagottato degli uccelli 
notturni e in fondo al borro l'allucciolio 
della galassia, la fascia d'ogni tormento. 
Ma il passo che risuona a lungo nell'oscuro 
è di chi va solitario e altro non vede 
che questo cadere di archi, di ombre e di pieghe. 
Le stelle hanno trapunti troppo sottili, 
l'occhio del campanile è fermo sulle due ore, 
i rampicanti anch'essi sono un'ascesa 
di tenebre e dil loro profumo duole amaro. 
Ritorna domani più freddo, vento del nord, 
spezza le antiche mani dell'arenaria, 
sconvolge i libri d'ore nei solai, 
e tutto sia lente tranquilla, dominio, prigione 
del semso che non dispera! Ritorna più forte 
vento di settentrione che rendi care 
le catene e suggelli le spore del possibile! 
Son troppo strette le strade, gli asini neri 
che zoccolano in fila danno scintille, 
dal picco nascosto rispondono vampate di magnesio... 
...Questa rissa cristiana che non ha 
se non parole d'ombra e di lamento 
che ti porta di me? Meno di quanto 
t'ha rapito la gora che s'interra 
dolce nella sua chiusa di cemento. 
Una ruota di mola, un vecchio tronco, 
confini ultimi al mondo. Si disfà 
un cumulo di strame: e tardi usciti 
a unire la mia veglia al tuo profondo 
sonno che li riceve, i porcospini 
s'abbeverano ad un filo di pietà. 

(da "Le Occasioni", 1951)