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Il Drago della Selva

(Un'immagine di drago)

 

 

(Il cavaliere errante)

 

 

Molti appartenenti alle passate generazioni, oggi cinquantenni o sessantenni, hanno avuto ancora la fortuna quando erano bimbi, di sentirsi raccontare le favole e le novelle dei loro luoghi, tramandate da tradizioni secolari, ricche di fantasie e molte volte collegate a fatti realmente avvenuti, anche se ammantati dal sapore di leggenda. 
Sull' Amiata, nelle lunghe sere d' inverno, accanto al camino scoppiettante, con vicino un piatto di castagne lessate, i citti ascoltavano con grande interesse e con grande curiosità ciò che raccontavano gli anziani. Un nonno, fra i più carichi di anni e di esperienze, raccontava la favola del drago di Santa Fiora (ovvero del "Cifero serpente", come dice la tradizione), soffermandosi ogni tanto a testimoniare gli aspetti più verosimili, sottolineando fatti storici realmente avvenuti che indubbiamente erano collegati alla favola e peraltro conosciuti come veri in tutti i paesi del monte Amiata. 
I frati del convento della Selva, vicino a Santa Fiora, si erano accorti da tempo della presenza di un orrendo e gigantesco drago, che si era ormai stabilito nei boschi fra Santa Fiora e la Selva, e faceva immensi danni e misfatti. Non solo mangiava mucche, pecore ed altri animali, ma la sua ferocia arrivava ad uccidere un uomo al giorno, scegliendolo fra pastori, taglialegna e gli stessi frati,che venivano così decimati.
La sua bocca, continuamente spalancata era come un lanciafiamme: fuoco e fumi densi uscivano da quelle fauci con una veemenza impressionante, tant'è che spesso si avevano grandi incendi di boschi. 
A quei tempi erano padrone di Santa Fiora le famiglie Aldobrandeschi e Bosio Sforza. Da un matrimonio intervenuto fra principi di queste due famiglie, era nato il giovane conte Guido, molto amato dal popolo e destinato a governare a lungo il paese ed il contado. I frati chiesero aiuto a lui, che provò ad attrezzarsi con corazze, lance ed archibugi, cercando di sconfiggere da solo il drago. Ritornò sconvolto, si era salvato per miracolo dalla furia del drago. Disse che occorrevano validi rinforzi perchè il drago era pericoloso e feroce, e non poteva essere affrontato da uomini soli. 
Si trattava quindi di organizzare una spedizione contro il drago, o cifero-serpente, che dirsivoglia. L' unico personaggio che avrebbe potuto dirigere una operazione del genere era il mago di Arcidosso, il famoso mago Merlino, che aveva preso dimora da tempo in una grotta sulla strada che da Arcidosso porta a S.Lorenzo. Questa grotta, pur parzialmente crollata e affogata da arbusti e vegetazione, esiste tuttora a riprova di una reale esistenza del mago. 
Merlino univa ai suoi poteri di magia, anche una grande fama e considerazione di uomo saggio e potente (si dice che lui, mago e alchimista, facesse parte di una nobile famiglia fiorentina che mirava alla conquista della Signoria di Firenze, uscendone tuttavia sconfitta in modo cruento, ma conservando prestigio e beni). Non fu difficile per lui chiamare il cavalier Giorgio, il grande combattente cristiano, le cui imprese militari a favore della fede erano largamente conosciute.
Chiamato quindi dal Mago Merlino, giunse ad Arcidosso il cavalier Giorgio, che fu subito ospitato dal conte Guido di Santa Fiora e dai frati del convento della Selva. Organizzarono un piano per incastrare il malefico drago, che era rintanato nella sua grande caverna, nel folto del bosco. Alcuni giovani fraticelli tremanti si misero a ballare e a cantare davanti all' ingresso della grotta, come esca perchè il drago venisse fuori, dove avrebbe trovato la sorpresa che gli era stata preparata. Il drago uscì imbestialito e fumante. Ma dall' alto di un grande castagno, una scarica di frecce e di lance si abbattè su di lui. Un colpo di lancia del cavalier Giorgio finì per sempre quel mostro sanguinario, che tanto male aveva procurato alla mite gente dell' Amiata. Nella sagrestia della chiesa della Trinità, che fa parte del convento della Selva, i frati fanno ancora vedere, a conferma della veridicità della storia, una mascella mostruosa che era quella del drago. Forse si tratta di una mascella di coccodrillo, trofeo di caccia di qualche personaggio locale, ma forse non è il caso di dissacrare una così suggestiva leggenda.
Il Cavalier Giorgio ammazzò altri orrendi e feroci draghi, divenne un santo, ed oggi è il Santo Patrono di Genova